DANIELE COMBONI, L’UOMO CON L’AFRICA NEL CUORE
San Daniele Comboni nacque a Limone sul Garda (BS) il 15 marzo 1831 e si aprì all’ideale missionario nell’Istituto di Don Mazza a Verona. Ordinato sacerdote nel 1854, tre anni dopo partiva per l’Africa. Nel 1867 fondò l’Istituto dei Comboniani e nel 1872 quello delle Suore Comboniane.Voce profetica annunciò nel ” Concilio Vaticano Primo” che era giunta l’ora dell’Africa. Per gli Africani spese tutte le sue energie, e si batté per l’abolizione della schiavitù. Consacrato Vescovo dell’Africa Centrale nel 1877, morì stroncato dalle fatiche e dalle febbri il 10 ottobre 1881 a Khartum, a soli 50 anni. Il 5 ottobre 2003 venne canonizzato da Giovanni Paolo II.
VERSO L’AFRICA, SUO UNICO AMORE
Daniele Comboni, era partito per l’Africa nella prima spedizione dell’Istituto don Mazza nel settembre del 1857. Aveva appena 26 anni. Il momento della partenza per la missione dell’Africa centrale è desiderato ardentemente da Daniele Comboni. Ma si frappongono serie difficoltà famigliari. D’altro lato sente che Dio lo vuole nella missione. Scrisse al suo parroco e amico, Don Pietro Grana:”Il mio Superiore ha deciso di spedirmi colà nella prossima spedizione che avrà luogo agli ultimi del prossimo agosto o ai primi di settembre. Ho desiderato questo momento da gran tempo e né della vita, né delle difficoltà della missione, né di nessuna cosa ho timore. Ma due gravi difficoltà mi spaventano. La prima è il pensiero di abbandonare due poveri genitori che in questa terra non hanno altro conforto che quello d’un unico figlio. L’altra difficoltà è che voglio prima di partire che sia assicurata una comoda esistenza ai medesimi. Ma come fare ad ottenere ciò? Ho una grande tempesta nel mio animo, ma ho deciso di partire. Dio ci aiuterà.”
Il 10 settembre 1957, prima di salire sulla nave, Daniele consegna una sua fotografia al cugino da portare ai genitori. Nella foto Daniele scrisse: “Chi ama suo padre o sua madre più di me, non è degno di me”. Una frase dura, ma scritta con le lacrime agli occhi, le lacrime di un figlio il cui cuore si ribella all’idea di abbandonare i genitori. Quello stesso cuore che lo spinge alla missione dell’Africa Centrale.
SCELTA PREFERENZIALE: I DIMENTICATI
Comboni ebbe un indirizzo chiaro: i popoli dell’Africa centrale, che in quel momento storico gli apparivano come “i più necessitosi e derelitti dell’universo“. Così li aveva visti da giovane quando si era deciso a diventare missionario dell’Africa centrale; così li aveva incontrati 9 anni più tardi, nel febbraio del 1858, arrivando a Santa Croce nel cuore del Sudan meridionale.
“I più necessitosi e derelitti dell’universo“: questa frase breve e scultorea ritorna ripetutamente negli scritti del Comboni. ”L’Africa che tutti hanno abbandonato e dimenticato” diventa la sua passione.
Quello di mons. Comboni è un carisma di frontiera, un carisma cioè che riguarda quelle parti di umanità dove il processo di liberazione, di illuminazione e di rigenerazione in Cristo non è stato né esplicitamente proposto né coscientemente accolto.
L’evangelizzazione è il primo ma non l’unico criterio della scelta preferenziale del Comboni. Ve n’è un secondo che il Comboni intravede subito nelle condizioni di vita subumane dei popoli dell’Africa: l’urgenza di un profondo impegno nel settore della liberazione e promozione umana.
Due anni prima di morire, così egli si esprimeva: “Noi umili operai dell’Africa… dobbiamo imitare i nostri confratelli della Cina, della Mongolia e dell’India, nell’alzare la nostra voce per implorare soccorso in pro dei nostri sempre cari Africani, che gemono ancora sotto il peso di tante sventure: la carestia, la pestilenza, la fame, la sete, la schiavitù e altri terribili mali”. Per il Comboni questa non era la cronaca da spettatore; assieme ai suoi missionari egli sperimentava il sapore di tali sventure e infine moriva sotto il loro peso.
LA SUA AFRICA EMARGINATA
Daniele Comboni si era sentito chiamare da Dio all’evangelizzazione dell’Africa nera quando aveva soltanto diciassette anni. Innamorato dell’Africa, si sposò indissolubilmente con essa.
Ma perché tanta passione per l’evangelizzazione e la promozione umana dei popoli dell’Africa? Certamente perché si era sentito chiamato da Dio a quella missione. Daniele Comboni, ripensava fra sé e sé alle ragioni che lo confermavano nella sua vocazione africana: il fatto che l’Africa interna rimanesse ancora chiusa al Vangelo, ma soprattutto il fatto, come amava ripetere con pressante insistenza, che i popoli neri dell’Africa fossero i più bisognosi della terra e quelli che presentavano maggior difficoltà alla penetrazione della Chiesa.
Nel 1866, nel corso del suo terzo viaggio africano, scriveva: “Vorrei avere a disposizione cento lingue e cento cuori per raccomandare la povera Africa, che è la parte del mondo meno nota e più abbandonata; la più difficile, per conseguenza, ad essere evangelizzata”.
Il messaggio di Daniele Comboni è chiaro: gli uomini e le donne dell’Africa nera erano gli emarginati del suo tempo. Lo Spirito di Gesù lo spingeva e gli diceva che era necessario annunciare il regno di Dio agli emarginati, così come il Signore aveva fatto con gli esclusi del suo tempo.
UNA SFIDA PER NOI
Noi abbiamo molto da imparare dalla vita di Daniele Comboni. Si parla di cambiamenti profondi, di giustizia, di liberazione integrale dell’uomo, ma quanti di noi sono disposti a rischiare e a pagare di persona? In molti casi sembra che la parola abbia sostituito l’azione. Si proclama un ideale a voce alta, si grida, ma poi tutto muore. Per cambiare il mondo non basta parlare, gridare; occorre donarsi a un ideale, lottare e sacrificarsi. Insistiamo molto sui valori umani, ma non parliamo di sacrificio. Dimentichiamo così i valori più profondi del Vangelo e del cristianesimo, che nella croce ha la sua espressione più significativa.
Teresino Serra